Livio Togni

 

 

 

LE VIRTU’ DELLA CONTAMINAZIONE

Sen. Livio Togni

(articolo tratto da: 1.apripista - aprile 2002 - Idee a proposito di circo - a cura della Festa Internazionale del Circo Contemporaneo di Brescia)

 

Se il “nuovo circo” s’impone soprattutto per la caratteristiche della contaminazione, la vita della mia famiglia è, da generazioni, frutto di contaminazioni di ogni tipo: da quelle etniche tra popoli diversi, a quelle tra il sapere artigianale dei mestieri più disparati (nel circo si è meccanici, carpentieri, autisti, falegnami, elettricisti...) a quella più profonda del rapporto tra l’uomo e le altre specie animali. Poi c’è la contaminazione del nostro mondo viaggiante con gli abitanti delle città dei più vari posti del mondo. Poi c’è la contaminazione culturale di noi circensi: mia figlia è nata in Francia da una madre venezuelana, però vive in Italia....Quelli del circo parlano fino a otto lingue diverse, indispensabili per fare spettacolo, fino a non sapere qual’è la propria. Questo senso di contaminazione è da secoli nelle famiglie della Commedia dell’Arte da cui le nostre derivano con legami diretti (le dinastie che hanno fondato i Togni, i De Bianchi e i De La Garenne, vengono dai comici del Seicento).

Poi c’è ovviamente la contaminazione artistica. Diceva Chaplin che il circo è l’arte di fare mille mestieri alla volta. Mia madre viene dalla dinastia franco-italiana dei Fratellini, ed è nata quando i suoi genitori erano in tournèe in Russia. Mi racconta che da piccola, tra uno spettacolo e l’altro, quando si divideva la scena con ballerini di tip tap o fantasisti musicali, le insegnavano non solo le discipline acrobatiche, ma la musica, il balletto, la pantomima: oggi nello spettacolo lei stessa si esibisce come soprano durante un numero a cavallo eseguito dai miei fratelli, e al finale serve in pista al pubblico spaghetti cucinati con ingredienti che, raccolti qua e là per il mondo, per qualche motivo stanno benissimo assieme. Ecco, questi spaghetti sono un po’ per me il simbolo della tendenza a contaminare che noi del circo abbiamo nel sangue. Da qualche decennio, forse da quando alcuni dei circhi si sono un po’ arenati sulla replica di modelli già stanchi, questa idea di contaminazione ci è stata rinfrescata da persone che vengono dalla danza e dal teatro. Ricordo quando con i miei fratelli, negli anni ’80, iniziavamo ad avventurarci in Francia perché in Italia la gente iniziava a preferire la tv. Ogni tanto, in qualche serata libera, andavamo in posti come La Villette di Parigi e vedevamo questi spettacoli fatti da gente che non era nata nel circo: il primo Zingaro, Archaos, l’arrivo del Cirque du Soleil in un tempio classico come il Cirque d’Hiver... Erano ancora compagnie piuttosto fragili, e per questo ci colpiva il loro coraggio. Tra i circensi tradizionali che si dividevano in lunghe discussioni, noi facevamo parte di quelli per i quali quell’idea di contaminazione è la natura stessa del circo. E allora abbiamo iniziato a cercare anche noi il loro tipo di pubblico, pur senza perdere quello più tradizionale, e ci siamo ritrovati con uno spettacolo nato per caso, “Il Florilegio”, in posti come il Festival d’Avignon o quello di Edimburgo, con fans come Jack Lang o Jerome Savary. Siamo contenti alla fine di aver fatto parte anche noi, capitati per sbaglio, di una piccola rivoluzione.

Si dice che oggi il circo in Italia è minacciato da indifferenza delle istituzioni e difficoltà burocratiche. E’ indubbiamente vero, anche se molto del problema sta nella scarsa qualità di alcuni circhi tradizionali, che vivono fuori dalla realtà e ai limiti del raggiro (mentre altre famiglie sono per fortuna ancora in grado di esaltare questo mestiere). Col mio ruolo istituzionale spero di poter contribuire ad un panorama migliore, inizialmente con una proposta di legge che sta già suscitando un inatteso entusiasmo in Senato.

Il nascere anche in Italia di un “circo contemporaneo” non può che onorare chi fa questo mestiere da generazioni, e soprattutto offre l’aiuto fondamentale per un riconoscimento culturale del Circo. Per questo che nel mio progetto c’è uno spazio per il circo d’innovazione, anche sull’esempio di Russia Francia, Canada, Stati Uniti, Cina e Australia, che dimostrano come il circo non va fatto solo per appartenenza dinastica. Il capostipite stesso dei Togni, che si “contaminò” con una zingara, era di origini borghesi.

Credo sia un onore per noi del circo vedere come il confluire di artisti di danza, teatro, musica, arti della strada verso una comune forma espressiva, cada non sulla scelta di rinnovare la danza o la prosa, usando elementi circensi, ma di usare proprio il circo come comune denominatore. Inoltre l’incredibile patrimonio del circo tradizionale italiano può unirsi alle risorse pedagogiche di danza e teatro per garantire una moderna formazione alle discipline del circo, conciliando tradizione e ricerca; non vedo altre vie. Che si parli di tradizione o ricerca, la vera differenza sta tra buon circo e cattivo circo: se dunque nuove prospettive dovranno penalizzare i circhi di scarsa qualità, così nell’area sperimentale sarà necessario controllare chi, venendo da altri settori, si serve del circo solo come pretesto o ispirazione per cavalcare una moda. Il circo è basato su discipline durissime, su una vera e propria filosofia di vita, e come per ogni arte, prima di giocare con i suoi elementi bisogna conoscerli a fondo. Il pubblico si accorge sempre quando dietro la superficie non c’è niente, e come sempre abbandona le mode. Il talento, sta nel superarle: e in questo, senza dubbio, la contaminazione è una grande virtù.

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