Comparing, l'arte del presentare

 

 

CONVENZIONE E LIBERAZIONE

Piergiorgio Vimercati in arte Mago Barnaba

Grazie di cuore a Jochen Wenz, è stata sua l’idea, quando mi ha incontrato presso il grande “cortile” dei camper sul suo monociclo a due ruote, mi ha detto: “Barnaba perché non tieni un worksohp?”. Alla mia risposta che come giocoliere non avevo niente da insegnare ha replicato: “Fai un workshop sul presentatore”. Così è stato. “Come fare il presentatore in situazioni d’emergenza”. Ci siamo buttati insieme, senza rete, allievi e maestro, un percorso veramente d’emergenza cercando di rimanere se stessi e contemporaneamente scavando i lati sconosciuti o meglio non utilizzati delle nostre potenzialità, fare il presentatore coinvolgendo tutto il nostro corpo con un training fisico improvvisato, fatto di piccole maratone, di salti su una gamba sola, di scuotimento di ogni nostra protuberanza. Chi stava davanti al “pubblico” era sempre sostenuto, incitato, urlato da tutti gli altri e questo ha permesso ad ognuno di sperimentare il proprio imbarazzo, la propria timidezza, il proprio blocco, all’interno però di un grande abbraccio collettivo, di una grande solidarietà, di un grande amore. L’aspetto forse più interessante è stato proprio questo lavoro “a caldo”, questo coinvolgimento fatto di lotta corpo a corpo, di contatto solidale, persino di “atti osceni” eseguiti con fanciullesca innocenza. L’atmosfera che si è venuta a creare ha riscaldato e liberato aspetti molto interessanti di chi si è messo in gioco, abbiamo “toccato con mano” la possibilità di cambiare il nostro modo di esprimerci per entrare in contatto con gli altri. Certo si è trattato di piccole cose, di brevi momenti, di semplici ouvertures, ma forse l’aprirsi semplicemente è la chiave che spalanca le grandi possibilità che sono dentro ad ognuno di noi, che ci permette di contattare il calore, la gioia, l’ammirazione degli altri, forgiando in questo modo la nostra personale chiave comunicativa.

Forse non a caso questa esperienza è avvenuta all’interno della convenzione, forse senza accorgercene eravamo già stati riscaldati dal numeroso precipitare di meteore che si sono incontrate a Pedavena, dalle lezioni di canto mattutine tenute da Francesca con la sua bimba abbracciata alle ginocchia, dalla fiabesca famiglia di Girovago e Rondella, che sembra scivolata dalla curva di un arcobaleno, dal tenero sonno sull’amaca di Maddalena, figlia e regina del Teatro Pernagipau, dai grandi occhi stupiti del piccolo Tobia, sempre sul punto di perdersi mentre muove i primi passi incerti alla scoperta della grande misteriosa foresta pluviale della Convenzione. Grazie a tutti

 

FULL HOUSE

LA QUIETE PRIMA…

HENRY: E’ poco che presentiamo ma, insieme alla regia, è una direzione che ci interessa. E’ più stressante, ma lo si può fare anche a 60 anni, una specie di pensione dell’artista! Venivamo dalla convention svizzera, dove avevamo presentato, alternando alle performance degli artisti alcuni pezzi del nostro show. Non è facile, perché la varietà degli act rende difficile una continuità di narrazione, ma ben consapevoli delle difficoltà legate a questo tipo di sperimentazione, volevamo rifarlo a Pedavena. Eravamo tranquilli perché avevamo fatto 4 ore di prova e tutto funzionava e perché nell’atmosfera di un pubblico italiano ci sentivamo quasi in famiglia. Inoltre avevamo fatto una buona scaletta, così avevamo un minimo di struttura, e una volta scelti i nostri pezzi, intendevamo infilarli al volo nel momento più opportuno.

…DELLA TEMPESTA

HENRY: Quando hai un pubblico di 1500 persone sei completamente dipendente dalla tecnologia e, anche se le prove filano lisce, negli spettacoli può succedere di tutto. Infatti un sacco di piccoli problemi tecnici hanno generato un casino totale. E’ stata un’esperienza incredibile Non funzionava niente, nemmeno le cose più importanti. I nostri microfoni senza filo funzionavano a singhiozzo, quelli col filo avevano i cavi difettosi e comunque troppo corti, l’impianto luci era adatto più ad un concerto di rock&roll che ad un palco di teatro, la musica partiva in ritardo o con pezzi sbagliati e non potevamo comunicare dal backstage con i tecnici audio e luci. A questo aggiungi che, presi dal panico, i tecnici hanno cominciato a premere bottoni alla rinfusa, così anche quello che funzionava ha cominciato a dare problemi. Per ben tre volte sono dovuto correre al mixer per dirgli cosa fare, mentre in un teatro normale ci sono tre persone che fanno questo per te.

Mai avuto uno spettacolo così difficile, non solo sul palco, ma anche nel back stage, formato da siepi alte, dove non c’erano luci e sembrava di cercare gli artisti nella foresta, come nel film di Blaire Witch Project. Mentre il pubblico si è divertito, apprezzando il lato comico della faccenda, per noi è stato un grande stress perché avevamo l’impressione che tutto lo spettacolo stesse andando male. Questa esperienza mi ha però insegnato alcune cose importanti. Se un tecnico ti dice “stai tranquillo tutto funziona”, tu devi comunque fare un tuo controllo, e anche se lui dice che ha fatto i Rolling Stones tre volte tu devi conoscere bene le tue esigenze e pretendere che vengano rispettate. 

GABY: Ci piace divertirci in scena, ma davvero ieri era uno stress. Sappiamo che questo è stato il peggio che poteva accaderci e ora siamo più tranquilli per il futuro. Quello che abbiamo fatto come presentatori è stato solo un 20% di quello che avevamo programmato, il resto erano improvvisazioni. Solitamente, anche se per 90 minuti, quando va tutto normale un presentatore è in scena e fuori scena, in e out, qui invece eri sempre in ballo, e non potevi sottrarti perché, nel bene o nel male “the show must go on”. Alla fine eravamo completamente sfiniti e vuoti. Al termine mi sentivo come in un film sbagliato: di solito qualcuno ti fa i complimenti anche quando sbagli, ma qui erano tutti a complimentarsi e a dirci che avevamo salvato il public show. Per un’ora la mia testa non sapeva cosa pensare. Dopo il public show Henry ed io eravamo nel parco, davanti al furgone. Era quasi l’alba e, dopo un silenzio di qualche minuto, siamo scoppiati in una risata irrefrenabile che è durata mezz’ora! Non potevamo credere a quello che era successo. Quella risata chiudeva il cerchio di tutta la serata, permettendoci di rilasciare tutta la tensione accumulata.

LA ZONA FRANCA

HENRY: Sul palco noi siamo la zona franca, l’ammortizzatore. Se succede qualcosa devi comunque continuare a presentare. E’ come fare un viaggio in canoa dove noi siamo quelli che vi portano in giro e vi mostrano questo e quello. Ieri la canoa stava affondando ma noi dovevamo dire no, non vi preoccupate va tutto benissimo. Un regista, Ferruccio Cainero parla dei lassi, un termine che viene dalla Commedia dell’Arte. Si riferisce ad una cosa che fa ridere, che fa effetto. Un buon presentatore deve avere un sacco di lassi da poter tirare al pubblico quando ne ha bisogno, quando per esempio entra un cane sul palco… Ma devi anche imparare ad usare quello che c’è, come spiegava Barnaba al suo workshop. Ad un certo punto, per la seconda volta, la musica mandata non era quella giusta, allora mi butto sul palco senza sapere cosa far. Svuoto la mia testa, ascolto la musica e comincio a ballarci su, dicendo che era una musica molto bella e che mi ispirava, anche se non l’avevo mai sentita prima. Intanto l’artista sul palco aveva cominciato a ridere, così aggiunsi che forse nemmeno l’artista l’aveva mai ascoltata prima! Questo tipo di improvvisazioni, tirate fuori dal nulla, sono quelle che mi piacciono di più. Ma sono contento che, pure con lo spettacolo a scatafascio, abbiamo messo in scena le tre improvvisazioni (le muse, Diego e Caragipau) che davvero non avevamo nemmeno provato. Un presentatore ha bisogno di un equipe e ritengo che al public show debba  partecipare più gente possibile.

Se capitasse di nuovo un’esperienza del genere spero di rimanere più calmo, perché così riesci meglio a gestire i contrattempi. Ma quello che è successo a Pedavena non è uno spettacolo che si può provare, perché è come chiederti cosa faresti se la tua casa stesse bruciando. Lo sapresti solo in quel momento. L’importante è, come sempre, “don’t panic!”

 

 

ADAM FIELD

Non sono un grande giocoliere, non mi alleno spesso, non ho nessun numero speciale di giocoleria, e quello che poso fare sul palco è distruggere un coniglio in un capello!! Ho cominciato a presentare i renegade alla EJC di Grenoble, e questa è solo la mia terza EJC, ma vado alle convention inglesi da più di dieci anni e a quelle olandesi da sette, dove presento da cinque anni gli open stage, che spesso diventano anche renegade, perché la convention dura un week-end e ci sono solo 300 giocolieri. Presentare alle convention mi ha aperto altre porte. Ora lavoro come presentatore in teatro e questo è il primo mese che vivo di questo lavoro.

Qui alla EJC, mentre i public vengono preparati mesi prima, gli open stage ed i renegade nascono la sera stessa e sono i giocolieri della convention a riempire il programma con i loro act. In cosa un renegade differisce da un open stage? Innanzitutto nelle performance e nella durata degli act. Qui mostrare quello che vuoi, non importa quanto demenziale o super—tecnico, ed andare avanti quanto vuoi, almeno fino a quando il pubblico non ti caccia via. In secondo luogo il posto, che spesso non è nemmeno un palco. Il renegade extra-demenziale di Karlsrhue si teneva in un piccolo palco molto informale, in un angolo all’interno del bar della convention! Mentre a Grenoble nemmeno era previsto un renegade stage. C’era solo un tendone e furono alcuni giocolieri olandesi che si fecero avanti per metterne su uno, senza microfono, né luci, né sound system. Quest’anno invece abbiamo luci, musica, palco, gradinate, personale, pista ignifuga ed è anche nel programma! Fare un renegade in un tendone come questo è una cosa nuova e molto bella, ma anche raffredda un po’ l’atmosfera. Infatti la prima sera, con 300/400 persone sedute ad aspettare che qualcosa succedesse, molti dei quali al loro primo renegade, avevamo problemi a trovare qualcuno che si esibisse. Così abbiamo avuto solo quality act, niente di stupido o di indecente, nonostante cercasi di creare un’energia demenziale! Ma non voglio imporre una definizione del renegade, perché renegade è qualcosa che succede è può essere tutto e niente...

Il pubblico alle convention è forse esigente con i giocolieri che si esibiscono, ma è fantastico per un presentatore. Agli open stage devi essere un pò più educato, nei renegade puoi essere invece più aggressivo ed irriverente e confrontarsi duramente con il pubblico, rompere tutte le barriere. Sii stupido, idiota, così anche il pubblico si rilassa. A Grenoble molti francesi non gradirono il mio ruolo, creando una dinamica congeniale per i renegade. Una delle regole è di non rimanere mai sconvolti di fronte alle reazioni del pubblico, mai arrabbiarsi, o perlomeno mai arrabbiarsi veramente. Bisogna generalmente essere brevi. Uscire, riscaldare il pubblico, fare in modo da piacere al pubblico, e far vedere che sei felice di essere lì. Magari, dopo una lunga serie di performance tecniche, fai qualcosa di stupido sul palco, oppure, se hai avuto act deliranti, passa subito al successivo. A volte devi improvvisare qualcosa, magari perché gli artisti ancora non sono pronti. L’anno scorso eravamo alla fine dello show e non c’erano più act, ma il pubblico voleva di più, ed io chiesi che cosa potevo fare. Loro mi dissero “spogliati!”, ed io improvvisai uno spogliarello demenziale. Fu molto divertente ed ora sono molto più tranquillo quando devo improvvisare e sicuramente aiuta anche bere un po’ prima di presentare, non molto chiaramente!

 

 

SARAH MINETTI

Ho lavorato per dieci anni in strada ed avevo uno spettacolo con un’altra donna. Lei era una brava giocoliera, mentre a me cadeva sempre tutto, così automaticamente sono uscite fuori battute per salvare la situazione, e mi sono accorta che, pur non essendo una brava giocoliera, mi piaceva molto essere sul palcoscenico! Questo opening show è stato la mia prima esperienza, e dimenticavo sempre un sacco di cose, ma penso di essere riuscita simpatica. Mi è piaciuto molto e voglio continuare su questa strada. Presentare è tutto un gioco. La seconda sera del renegade, mancavano dei volontari e ci ed ho dovuto improvvisare una sceneggiata per convincerli a farsi avanti, per farli sentire gli eroi della convention, ed ha funzionato. Di solito sono gli uomini che presentano. Questo significa che non hai modelli a cui ispirarti, e devi inventarti un personaggio, perché gli uomini hanno un modo diverso di rapportarsi col pubblico.

Le convention dei giocolieri sono i posti più facili dove presentare perché puoi chiedere al pubblico qualsiasi cosa e loro lo fanno con entusiasmo, c’è più partecipazione, che rende la presentazione piacevole. Ma devi capire cosa piace al pubblico e non trattarlo da demente. L’importante è non rimanere troppo a lungo sul palco e fare sempre una bella presentazione degli artisti, fare in modo che il pubblico lo accolga calorosamente. Mi è capitato di essere presentata sul palco come una grande artista, ed è bello perché poi davvero ti esibisci con una grande carica e fai del tuo meglio. Alle convention ci sono persone di tutti i paesi, ma pochi di noi sono poliglotti e Jules dice che parliamo un desperanto. Purtroppo sul palco, ad eccezione della ormai tradizionale serata latina, nessun presentatore di lingua spagnola, italiana, francese si fa avanti per presentate gli show.

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